Torino Archivi - emanuelabernascone.com https://emanuelabernascone.com/tag/torino/ l'arte di comunicare l'arte Sat, 11 Sep 2021 16:28:16 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.8.10 Biagio Vellano https://emanuelabernascone.com/biagio-vellano/ Sat, 11 Sep 2021 16:28:15 +0000 https://emanuelabernascone.com/?p=17240 Il 16 settembre inaugura a Palazzo Saluzzo Paesana la mostra Biagio Vellano. Opere dal 1950 al 2007, settanta opere suddivise tra materici e pastelli che si propone di illustrare il lavoro e la vita di un artista che è stato una mosca bianca nel panorama artistico della seconda metà del Novecento.

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BIAGIO VELLANO
Opere dal 1950 al 2007

a cura di Carla Bertone
in collaborazione con Giuseppina Clemente

16 settembre – 3 ottobre 2021

Inaugurazione 16 settembre ore 17-19.30

Palazzo Saluzzo Paesana
Torino

Il 16 settembre inaugura a Palazzo Saluzzo Paesana Biagio Vellano. Opere dal 1950 al 2007, settanta opere suddivise tra materici e pastelli che si propone di illustrare il lavoro e la vita di un artista che è stato una mosca bianca nel panorama artistico della seconda metà del Novecento.
Biagio Vellano ha consapevolmente scelto di non mettersi sul mercato, per mantenere la libertà e la purezza che hanno sempre contraddistinto la sua espressione artistica. Una scelta difficile per un creativo a cui in vita è mancato il riscontro della critica, il consenso e la notorietà, ma che ogni volta che ha prodotto un’opera destinata alla comunità ha potuto tastare il grande apprezzamento del pubblico.

La sua è una poliedrica produzione, diverse espressioni di una costante ricerca di armonia tra materia, forma e colore. In mostra a Palazzo Saluzzo Paesana i materici e i pastelli. I secondi, la produzione più recente, sono caratterizzati da un lirismo cromatico che enfatizza le tematiche: blu nei melancolici paesaggi, rossi decisi e rosa carne per indulgere sulle morbide forme femminili, ad ogni tema corrisponde un colore, numerose tipologie di pastelli che danno vita a un mondo intimo e vibrante.
Mentre i materici, il corpus più importante dell’esposizione, sono lavori carichi di stratificazioni, di sedimenti, costituiti da materiali vari, funzionali al racconto. Il risultato richiama superfici naturali: alberi, rocce, terre. Su queste Vellano interveniva con vinavil e materiali plastici attraverso la combustione con il cannello, producendo così colature poi rifinite e colorate con terre naturali per mettere in evidenza le sedimentazioni materiali. I materici rappresentano un aspetto ecologico molto importante perché imitano la natura riutilizzando materiali di scarto e di riciclo.

In mostra saranno presenti i materiali, egregiamente conservati, che Vellano era solito utilizzare così come parti del suo studio, compreso il manichino ricevuto da Casorati. L’esposizione sarà fruibile a diversi livelli, con anche una parte dedicata ai visitatori più piccoli grazie alla ricostruzione di un tronco scavato dalle formiche carpentiere, l’osservazione delle quali è stata un grande motivo di spunto per l’artista.

La produzione di Vellano è estesa e articolata: presepi, fotografie, disegni, acquerelli, pastelli, acrilici, tempere e materici-scultura; iniziò giovanissimo con disegni, tempere e acrilici per dedicarsi poi, verso la fine degli anni ’80, a opere materiche, piccoli quadri all’inizio e poi con dimensioni sempre maggiori che lo impegnarono non solo emotivamente ma anche fisicamente. Vellano cercava di ricostruire il mondo naturale che ammirava, la perfezione della natura dove amava perdersi; il risultato sono opere uniche, microcosmi perfetti, materia viva e alchimia. Riflettono l’anima dell’autore e si sono portati via anche un pezzo del suo corpo perché i fumi e le esalazioni che ha respirato mentre caparbiamente bruciava e fondeva i materiali ne hanno intaccato i polmoni, rubandogli un pezzo di vita. Ma Biagio Vellano era ed è questo: un uomo la cui vita è stata indissolubilmente legata all’arte, la creatività lo attraversava, era parte di lui, e l’ha accompagnato sino all’ultimo giorno.

Biagio Vellano nasce a Trino (VC) il 16 agosto 1928 e muore a Brusaschetto, frazione di Camino Monferrato (Al), il 23 luglio 2008.

Sin da bambino manifesta attitudine al disegno, amore per le arti figurative e grande passione nell’allestire piccoli presepi, manufatti con i materiali più disparati, un soggetto che reitererà per tutta la sua vita. Conclusi gli studi liceali frequenta assiduamente gli ateliers dei pittori Casorati e Tozzi con i quali instaura un rapporto di amicizia. Nei primi anni ’50 inizia l’attività di grafico, progettista e designer e, a partire dagli anni ’60, quella di arredatore d’interni, per privati, hotel e attività commerciali, lavorando in tutta Italia soprattutto a Venezia e a Brusson, in Valle d’Aosta, località a lui particolarmente cara dove è solito trascorrere lunghi periodi ogni anno e dove ha realizzato i suoi più bei materici.  Negli anni ’50 e ’60 realizza presepi nella chiesa parrocchiale di Camino Monferrato e a Trino, nella chiesa di San Giovanni Battista, dov’è tuttora visitabile. Per tutta la vita si dedicò allo studio approfondito delle arti figurative, nei suoi molteplici aspetti, dall’arte primitiva sino a quella contemporanea, con letture costanti sulla biografia e sugli scritti dei grandi maestri. Amò e apprezzò soprattutto Giotto, Piero della Francesca e la grande pittura del ‘400 e del ‘500.

Biagio Vellano. Opere dal 1950 al 2007
a cura di Carla Bertone
con la collaborazione di Giuseppina Clemente
16 settembre – 3 ottobre 2021
Inaugurazione 16 settembre ore 17-19.30
Palazzo Saluzzo Paesana
Via della Consolata 1 bis, Torino
giovedì – domenica 15.30- 19.30
ingresso gratuito
www.biagiovellano.com

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Alfredo Aceto | DITTRICH & SCHLECHTRIEM | ARTISSIMA DIALOGUE https://emanuelabernascone.com/alfredo-aceto-dittrich-schlechtriem-artissima-dialogue/ Mon, 28 Oct 2019 10:26:15 +0000 https://emanuelabernascone.com/?p=17120 La galleria DITTRICH & SCHLECHTRIEM di Berlino (Booth 18, Hall Pink B) propone in fiera...

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La galleria DITTRICH & SCHLECHTRIEM di Berlino (Booth 18, Hall Pink B) propone in fiera un solo show dell’artista torinese Alfredo Aceto per ARTISSIMA Dialogue

Il progetto, realizzato con il supporto dello Swiss Arts Council (Pro Helvetia), scaturisce dalla poesia The Fetish House o The house with Laughing Windows composta in francese dallo stesso artista a maggio 2019. Lavorando attraverso i vari media, tra cui scultura, film e suono Aceto crea luoghi in cui vivere, in cui si può trovare una sorta di malinconia, alterazione cronologica e saturazione dell’immagine.  
Il testo mescola le indagini sulle identità queer e sull’architettura come fenomeno di influenza. Alcune informazioni relative a luoghi specifici e traumatici potrebbero essere state dimenticate o addirittura cancellate dal cervello. Questi elementi spazio-temporali mancanti rappresentano una trasformazione di qualcosa che inizialmente era rassicurante e poi percepito come repressivo; determinare un campo ricco per identificare un ecosistema emancipatore.  

Si potrebbe dire che l’immaginario visivo che emerge è il risultato di multiple intersezioni con il testo, ma si tratta in realtà di domandarsi come forma e narrazione possano rinegoziare la propria posizione all’interno dell’opera
La pratica di Aceto nasce dalla volontà di creare un luogo in cui mescolare i vari strati della forma lineare del tempo trasformandosi in una piattaforma da cui emergono segni / simboli di epoche e momenti diversi.
Sviluppando il suo lavoro in un percorso creativo che attraversa molteplici fasi di crescita mai veramente risolte, Aceto alimenta la propria ricerca mettendo in discussione il proprio io e, più in generale, l’ego che regna in ogni persona se non altro a livello latente. 

Alfredo Aceto (1991), nato a Torino, vive e lavora a Losanna (Svizzera). 
È stato allievo di Valentin Carron e Philippe Decrauzat all’ECAL (École Cantonale d’Art de Lausanne). Il suo lavoro è stato presentato in numerose esposizioni tra cui l’Istituto Svizzero, Milano (2019), Villa Medici, Roma (2019), Swiss Art Awards, Basel (2018), DOC!, Parigi (2018), Museo Pietro Canonica, Roma (2016), Associazione Barriera, Torino (2016), Kunsthaus Glarus, Glarona (2015), Museo del 900, Milano (2013).
I suoi lavori sono presenti in diverse collezioni pubbliche e private tra cui Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Wallriss, Collection Mobiliar, Centre d’Art Contemporain de Geneve, Museo del 900, Collezione Ernesto Espositio, Collezione Riccardo Tisci. 
Nel 2019, Alfredo Aceto vince il Leenaards Art Grant da parte della Fondation Leenaards. Tra i più prestigiosi in Europa, il premio permette agli artisti di sviluppare la loro ricerca in maniera ambiziosa. 
Alfredo insegna nel dipartimento di Arti Visive presso l’ECAL (École Cantonale d’Art de Lausanne), Svizzera. 

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Simon Starling A-A’, B-B’ https://emanuelabernascone.com/simon-starling-a-a-b-b/ Thu, 10 Oct 2019 17:32:24 +0000 https://emanuelabernascone.com/?p=17111 15 ottobre 2019 – 11 gennaio 2020 La Galleria Franco Noero ospita a partire dal...

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15 ottobre 2019 – 11 gennaio 2020

La Galleria Franco Noero ospita a partire dal 15 ottobre A-A’, B-B’, sesta mostra personale di Simon Starling a Torino, per la prima volta nella sede di Piazza Carignano 2.
L’esteso corpus di nuovi lavori, per il quale il piano nobile dell’edificio occupato dalla galleria ha fornito fonte di ispirazione, si compone di un complesso insieme di elementi e immagini, tra loro connesse per mezzo di giustapposizioni, trasformazioni fisiche, fatti storici, congetture, insieme alle narrative e alla logica personale che hanno sempre distinto la pratica dell’artista. Il progetto si articola in due parti. La prima, già in corso, presso il the Modern Institute di Glasgow fino alla fine di Ottobre, seguita poi dalla mostra a Torino.

Il titolo, A-A’, B-B’, fa riferimento a due cesure che avvengono a circa duecento anni di distanza l’una dall’altra, su due elementi di natura completamente diversa: Mosè salvato dalle acque, opera di Giovanni Battista Tiepolo, e una Fiat 125 Special di colore blu. L’auto era una delle preferite di Giovanni Agnelli, a lungo Presidente della casa automobilistica torinese e imprenditore italiano di enorme influenza. La capacità di Starling nell’individuare punti di contatto in storie a prima vista inconciliabili tra loro lega infatti il taglio del dipinto all’iconica figura dell’imprenditore.

Mosè salvato dalle acque, realizzato tra il 1736 e il 1738 circa, prende ispirazione da un’umile storia biblica che viene reinterpretata nel contesto mondano che riporta allo splendore delle corti del XVII secolo, ritraendone le caratteristiche più tipiche: donne di corte, alabardieri e uno stuolo di nani e levrieri simili a silfidi. In questo contesto perfino gli alabardieri, di basso lignaggio, sono abbigliati con nobile raffinatezza. Personaggi aristocratici sono ritratti in un dipinto dai tratti tipicamente artificiosi e opulenti, come in una messinscena. Agli inizi del XIX secolo il dipinto fu tagliato in due parti di dimensioni diverse: l’originaria struttura panoramica si trasforma in una scena più centrata e di impianto tradizionale, Mosè salvato dalle acque, che si separa da quella più anticonvenzionale dell’Alabardiere in un paesaggio. La prima sezione, più grande, è conservata presso la Galleria Nazionale di Scozia, mentre la seconda entra a far parte prima della collezione privata degli Agnelli e successivamente si lega in permanenza alla Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli di Torino.

Il doppio progetto di Starling prevede che le due installazioni si fondano in un processo di trasposizione e trasmutazione, sia geografica che materiale. Mosè salvato dalle acque, conservato in Scozia, è stato fotografato dall’artista e successivamente stampato in scala 1:1 per la mostra in Piazza Carignano a Torino, luogo in cui si custodisce il suo corrispettivo di più contenute dimensioni. Di contro la riproduzione fotografica del quadro torinese, l’Alabardiere in un paesaggio, è attualmente esposta presso The Modern Institute di Glasgow. La trasposizione geografica riflette la logica apparentemente brutale che ha portato alla divisione del quadro in due parti troncate, trovando seguito nel taglio materiale di uno dei modelli di auto preferite da Agnelli, una fiat 125 Special blu. L’automobile è stata accuratamente sezionata in due parti rispettando le proporzioni con le quali il quadro di Tiepolo è stato diviso. Nella mostra di Glasgow è esposta la parte più ampia dell’auto insieme alla riproduzione dell’Alabardiere in un paesaggio di Torino, mentre quella posteriore, più piccola, si giustappone alla riproduzione fotografia del dipinto più grande conservato in Scozia.

L’affascinante storia del dipinto diviso di Tiepolo è la fonte di ispirazione per Starling per la costruzione di un intreccio narrativo al quale prende parte la figura di Giovanni Agnelli. Nonostante l’indubbia condizione agiata e uno stile di vita elegante e raffinato, Agnelli ha sempre dimostrato empatia e solidarietà con la città e con i lavoratori della sua fabbrica tramite la passione condivisa per la Juventus – la famosa squadra di calcio di proprietà della famiglia – e anche con la scelta delle automobili a lui appartenute. Infatti, oltre a modelli fuoriserie, Agnelli possedeva una collezione di auto di serie personalizzate ad hoc che pur rispondendo ai suoi desideri, allo stesso tempo mostravano una sobrietà discreta lontana da clamorosi eccessi. Non a caso era spesso visto alla guida di una Fiat 125 Special, una berlina di serie destinata all’uso delle famiglie. L’unicità della sua targa, tuttavia, A00000 TO, faceva riferimento al titolo che lo accompagnava, L’Avvocato, e segnalava alle persone la sua presenza in città.

 Quale ulteriore contributo all’intreccio narrativo e alla messinscena torinese, nella mostra sono inclusi due autoritratti dell’artista sotto altre vesti: due schematiche armature in ferro indossano maschere prodotte in collaborazione con il maestro Yasuo Miichi, mascheraio del teatro Noh. Una di esse prende le sembianze di Gianni Agnelli e l’altra dell’alabardiere di Tiepolo. I calchi della mano destra dell’artista rivestiti di pelle donano ulteriore definizione alle figure stilizzate. Nell’opera in cui l’artista si ritrae come Gianni Agnelli la mano sorregge la commedia nera Trumpets and Raspberries di Dario Fo (Clacson, Trombette e Pernacchie), nella quale si parla di uno scambio di identità tra Agnelli e un operaio della Fiat. In una seconda scultura l’artista assume invece la stessa posa della figura del dipinto di Tiepolo con in mano un’alabarda e lo sguardo rivolto a destra.
Le mani appaiono nuovamente in una serie di tre dagherrotipi dal titolo Hand of the Artist’s Father, Hand of the Artist, Hand of the Artist’s Son (Mano del Padre dell’Artista, Mano dell’Artista, Mano del Figlio dell’Artista). Queste immagini fatte di ombre – realizzate su fogli a specchio di rame placcato d’argento – riverberano una sull’altra, al pari del tempo che trasforma e lascia segni su un mano che sembra essere sempre la stessa.

Starling continua il suo racconto associando la qualità regale delle ambientazioni di Tiepolo alla produzione di auto della Fiat della fine degli anni Sessanta: una serie di foto ritraggono levrieri di razza e sono state realizzate nello studio fotografico che si trova nel distretto della fabbrica di Mirafiori a Torino. Gli ambienti di grandi dimensioni dotati di fondali bianchi e ininterrotti, progettati per fotografare le automobili, diventano inaspettatamente il giusto contorno per ritrarre dei purosangue – di solito bianchi – allevati da secoli con l’intento di costante perfezionamento della loro estetica.

A-A’, B-B’ testimonia ancora una volta l’interesse di Starling per la messinscena e le sue varie forme, già presente in opere quali Project for a Masquerade, Hiroshima, (2010; 2011) e in At Twilight (2016), esprimendo allo stesso tempo la sua passione per la storia materiale, industriale e del design di Torino. Il nuovo progetto sviluppa il solco prospettico tracciato da La Decollazione (2018) – opera realizzata per Manifesta 12 a Palermo –  ispirata dalle caratteristiche materiali del capolavoro maltese di Michelangelo Merisi detto Caravaggio, La decollazione di San Giovanni Battista (1608). Entrambe queste opera ultime prendono vita da uno spiccato ed evidente interesse per la pittura e l’allegoria, che si traduce invece in un viaggio nel tempo e nello spazio.

 

Simon Starling (Epsom, 1967) vive e lavora a Copenaghen. Starling ha vinto il Turner Prize nel 2005 ed è stato selezionato per il premio Hugo Boss nel 2004. Il suo lavoro è stato oggetto di esposizioni personali presso istituzioni pubbliche e private internazionali, tra le quali: Frac Ile-de-France, Le Plateau, Parigi (2019), Musée regional d’art contemporain, Sérignan, Francia (2017), Japan Society, New York, USA (2016), Museo Experimental El Eco, Città del Messico, Messico (2015), The Art Club of Chicago e Museum of Contemporary Art, Chicago, USA (2014), Monash University Museum of Art, Melbourne, Australia (2013), Staatsgalerie Stuttgart, Stoccarda, Germania (2013), Tate Britain, Londra (2013; 2009), Hiroshima City Museum of Contemporary Art, Hiroshima, Giappone (2011), Massachusetts Museum of Contemporary Art, North Adams, USA (2008), Power Plant, Toronto, Canada (2008), Musée d’art contemporain du Vel-de-Marne, Vitry-sur-Seine Francia e Temporäre Kunsthalle Berlin, Berlino, Germania (2009). Tra biennali e le mostre collettive internazionali ricordiamo la partecipazione a: 16a Biennale di Istanbul (2019), 12a Biennale di Shanghai (2018), Manifesta 12, Palermo (2018), 53a Biennale di Venezia, Padiglione Scozia (2009), Biennale di Lione (2007), 8a Biennale di Sharjah (2007), 26a Biennale di San Paolo (2004), 50a Biennale di Venezia (2003).

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BUILDING A NEW WORLD https://emanuelabernascone.com/building-a-new-world/ Tue, 27 Aug 2019 13:37:06 +0000 https://emanuelabernascone.com/?p=17090 Presentazione del Festival Internazionale delle Scuole d'Arte e Design FISAD e Premio Internazionale delle Arti PNA

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GABRIEL SIERRA https://emanuelabernascone.com/gabriel-sierra/ Wed, 05 Jun 2019 09:50:58 +0000 https://emanuelabernascone.com/?p=17057 La Galleria Franco Noero ha il piacere di ospitare per la prima volta una mostra personale di Gabriel Sierra, con una nuova serie di opere realizzate per l’occasione ed esposte negli spazi di Via Mottalciata.

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SUBITO DOPO L’OGGETTO PIÙ DISTANTE

28 maggio – 28 settembre 2019

Galleria Franco Noero, Torino

La Galleria Franco Noero ha il piacere di ospitare per la prima volta una mostra personale di Gabriel Sierra, con una nuova serie di opere realizzate per l’occasione ed esposte negli spazi di Via Mottalciata.

Il titolo della mostra cita metaforicamente un’espressione comunemente usata dagli astronomi per definire la misura degli oggetti del cosmo più distanti sinora scoperti, tenendo anche in considerazione che l’universo tende costantemente ad espandersi. Una maniera per catturare ed esprimere l’energia del momento e allo stesso tempo un tentativo di immaginare cosa viene dopo, al di là di quanto già conosciuto. Si può dire che questo sia lo stesso impulso che muove l’artista a dare forma materiale all’idea del presente cercando di fare il passo successivo, suggerire qualcosa che si trovi più avanti, anticipando quello che sarà.

In analogia con quanto sopra si potrebbe definire la creatività come una speciale condizione umana che dipende da archetipi cosmici, sin dall’inizio della civilizzazione, e in aggiunta a questo, la produzione di oggetti da parte dell’artista una tattica di negoziazione sul linguaggio e sulle nozioni di narrazione – funzione – realtà.

Il gruppo di opere concepito per la mostra, che siano oggetti di nuova costruzione oppure ‘ready-made’ alterati, vive di slittamenti linguistici, di inversioni e negligenze funzionali, in modo che vengano messi in discussione i modi consueti di presentazione delle opere d’arte all’interno di gallerie o spazi museali, tendendo invece a in-vestire gli oggetti di qualità che possono associarsi al momento che preceda il loro divenire ‘finiti’, quel momento a cui fa seguito la loro definitiva presentazione negli spazi a loro deputati, utilizzando materiali associabili a quei medesimi luoghi.

The Sun After National Geographic” è un inaspettato capovolgimento di piani, una capriola nello spazio e nella percezione di 180 gradi: gli elementi in gesso di un contro soffitto modulare, ordinati in sequenza e sorretti da un’impalcatura di legno di impeccabile funzionalità e disegno, incontrano lo sguardo frontalmente e non al di sopra della testa, si isolano come brano a sé interrompendo la loro caratteristica di immutata e ripetuta continuità, come fossero un quadro privato delle sue qualità più immediatamente riscontrabili. Anche la faccia dei pannelli che è necessariamente nascosta alla vista nel loro uso consueto, il loro rovescio, si presenta e si mostra al pari del fronte raddoppiando l’orizzonte percettivo, da rovescio a dritto.

Gli elementi costitutivi di un soffitto, e l’idea consolidata che si ha di esso, da immateriale e ininterrotto piano limite di un involucro, diventano invece partizione attiva del volume da quest’ultimo individuato. L’oggetto elude la sua funzione guadagnandone una differente, generando sorpresa e trasformando l’ovvio in inconsueto, la norma in un suo ambiguo equivalente, la sua definizione in qualcosa di transitorio che amplifica le sue qualità spazio temporali.

How to control the view of a room any kind of days III” si attesta sullo stesso crinale, suggerisce l’imprevisto, traducendo il definitivo in momentaneo: un muro di partizione di cospicue dimensioni, del genere di quelli usati nei Musei per le mostre temporanee, poggia curiosamente su due transpallets collocati ai suoi estremi, come fossero dei fermalibri. Seppure non si abbia certezza se questo possa accadere o meno, i due transpallets rendono comunque la mole del muro possibilmente mobile, sollecitando l’opportunità di sovvertire costantemente la percezione e la relazione con il volume che circonda l’oggetto, rendendolo anche strutturalmente precario, indeterminato, come la sua posizione.

“Untitled, vitrine (The habitual distance)” tenta di definire, come dichiarato dal suo titolo, i confini tra il fuori e il dentro: una vetrina composta di moduli assemblabili, un’impalcatura di ferro chiusa in basso e in alto da pannelli di legno e di lato da larghi riquadri di vetro trasparente, è completamente permeabile e attraversabile dallo sguardo. Essa mima uno degli oggetti espositivi più comuni – la vetrina – ma riducendo con reticenza ed efficacia i suoi elementi costitutivi, la sospende in un limbo temporale non ben definito, lasciando che l’attenzione si concentri sulla sua funzione di limite ambiguo e che compaia come elemento sdrucciolo, manchevole, nello stato in cui avrebbe forse potuto presentarsi poco prima dell’apertura di una mostra.

Elementi in scala minore ma di uguale importanza sono accuratamente giustapposti agli altri lungo il percorso espositivo. Poggiati su tavoli pieghevoli, un paio di proiettori Kodak sono privati dei loro tradizionali caroselli a ciambella per diapositive, sostituiti da elementi in onice uguali per forma ma sicuramente differenti nella materia, nel peso e nel tempo a cui appartengono. Tautologicamente l’immagine proiettata a muro, generata dall’immaterialità della luce, è la fotografia della faccia a vista della pietra di onice, che ci suggerisce qualcosa di familiare ma al contempo un universo incognito.

Sa di misterioso, di un tempo geologicamente lontano anche l’aspetto di alcuni blocchi di marmo disseminati nelle varie stanze della galleria. I lati, non levigati, trasmettono una solida gravità, mentre la superficie superiore lucida nasconde una trama aliena alle venature più o meno sottili dei blocchi lapidei. In controluce e diagonalmente scorrono blocchi di lettere serigrafate che si ripetono, che guardando bene, rivelano la frase ‘Made in Jupiter’: nuovamente un paradosso e uno scarto linguistico che media tra l’abitudine alla presenza del marchio di provenienza su alcuni prodotti e un luogo invece del tutto improbabile, cosmicamente incognito e lontano, da cui le pietre potrebbero essere giunte a noi, o da dove forse arriveranno in futuro.

“L’apertura del cubo”, unico lavoro video presente in mostra, nasce dall’idea di una performance mai realizzata da Sierra, in cui l’artista aveva previsto di irrompere nell’edificio che avrebbe ospitato una sua mostra attraverso una finestra e, dopo aver mangiato un cubo di gelatina al cui interno era custodita la chiave di accesso all’edificio, avrebbe aperto con essa la porta d’ingresso permettendo ai visitatori di entrare, dando inizio al vernissage.

Contrariamente a quanto pianificato il video, girato in 35 mm, gioca ancora una volta su un doppio registro, sfruttando la dualità opposta di caratteristiche della gelatina, solida ma tremolante e sempre sull’orlo di rompersi, trasparente ma viscosa, e nella cui massa molle è imprigionata una chiave. Nel video il blocco di gelatina poggia su un vassoio di bianco smaltato, mosso prima con lentezza e cautela e poi più energicamente dalle mani dell’artista, fino al momento in cui la sua massa potrebbe frantumarsi, quando invece le immagini svaniscono in dissolvenza.

Gabriel Sierra
Subito dopo l’oggetto più distante
29 maggio – 28 settembre 2019
Galleria Franco Noero, Via Mottalciata 10b, Torino
lunedì e sabato 15 – 19 dal martedì al venerdì 11 – 19

Link per scaricare le installation views crediti fotografici Sebastiano Pellion di Persano

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