IN-DIFESA

IN-DIFESA

IN-DIFESA
 Artisti da Africa, Asia, Europa, Russia, Usa e Medio Oriente

2 aprile – 4 luglio 2010

FONDAZIONE 107
Via Sansovino 234
Torino

L’autodifesa è la più antica legge della natura.
John Dryden (1631-1700)
 

Fondazione 107 inaugura il 1 aprile 2010 il secondo appuntamento del proprio corso espositivo rinnovando la volontà di promuovere e stimolare dibattiti su temi di interesse globale sviluppati da artisti provenienti dai vari continenti che portano la loro esperienza e visione del mondo attraverso le opere esposte.

La mostra esplora la linea di confine, in cui le azioni di attacco e difesa perdono di certezza e definizione, lo stato di sospensione che si determina, agevolato dalla manipolazione dei dettagli conduce ad una realtà artefatta, un territorio dove le responsabilità non sono più certe ed individuate, chi attacca e chi si difende assumono connotati simili, non è più possibile l’imputazione o assoluzione piena, siamo stati traghettati nei territori del dubbio e dell’incerto. In-difesa è una condizione che tutti i popoli vivono e si manifesta nel quotidiano, nelle società cosiddette evolute il modello è presente in forme latenti e agisce tramite contagio nei rapporti interpersonali e prima ancora con noi stessi.

Gli artisti in mostra sono stati selezionati in base ai loro lavori seguendo 5 temi essenziali; si parte dalla In-difesa della vita, per passare alla In-difesa dei diritti, l’In-difesa dell’identità, l’In-difesa del diritto di culto sino alla In-difesa militare. All’interno di questi macro elementi si scatenano situazioni di incontro-scontro quotidiano quali potere, territorio, rapporti interpersonali, psiche, infanzia, uomo, malattia, sesso, droga, autolesionismo, nascita, religione; ci soffermeremo su alcune di queste situazioni, assumendole ad esempio in considerazione del fatto che non ne siamo consapevoli, ma è ormai diventato tristemente comune vivere in uno stato di In-difesa.

Il viaggio tra le opere ha inizio dall’origine, l’Africa, il primo continente emerso ne diviene il simbolo. Diamante Faraldo la riveste di copertoni mentre il cuore centrale è in marmo nero assoluto. La forma del continente risale alla cartografia del 1600, più tozzo di come oggi è visibile dai satelliti, un’immagine più materna e protettiva, sulla cui superficie emergono le piaghe di una spartizione coloniale eseguita geometricamente ed asetticamente, con righello e compasso; come sottolinea Faraldo: “Geometrizzare un territorio significa impossessarsene ed è così che è avvenuto, sin dai primi contatti con gli europei catapultati nella conoscenza del “nuovo mondo” come territorio da colonizzare”. 
L’Africa è rappresentata in mostra da sei artisti eterogenei ma uniti nella denuncia di un vissuto che di umano ha ormai ben poco. Gonçalo Mabunda, dal Mozambico, costruisce un trono con resti di armi, materiale di scarto sin troppo facile da reperire in un Paese in costante stato di guerra civile. La denuncia di Peter Wanjau racconta di un’Africa malata, di piaghe quali l’Aids o la TBC che con un colpo di spugna hanno annientato un’intera fascia generazionale; egli si immedesima nella figura di un predicatore che vuol mettere in guardia contro le debolezze umane e i reati che si possono commettere in un territorio dove vige la legge del più forte. L’Africa soffre, ce lo dice Almighty God, artista keniota che decide di rappresentare il suo Paese come un enorme cuore sanguinante tra le braccia tese di un uomo in procinto di gettarlo nel vuoto, così come l’immagine dei due uomini uno sulla testa dell’altro: prevaricazione o gioco d’equilibrio?

Anche dall’Europa si alza un coro di denuncia: Daniele Galliano ad esempio racconta l’isolamento e la vulnerabilità della donna incinta, una futura madre pronta a combattere per difendere la vita che porta in grembo, ma sola, consapevole del fatto che nei grandi eventi della vita si è soli, vive questo stato in bilico tra desiderio e paura, gioia e dolore, attacco e difesa. La solitudine della vita e quella della morte come nelle fotografie di Ana Opalic, nata a Dubrovnik nel 1972, sono spazi deserti, anonimi, in realtà, luoghi delle esecuzioni di massa e degli eccidi: edifici vuoti, scheletri svuotati di memoria con poche tracce di un passato che è bene non cancellare. Gli scatti di Dino Pedriali si concentrano sull’uomo, si tratta di un corpo segnato dalla fatica del vivere, un corpo che, nonostante le perfette forme caravaggesche, manifesta il disagio, la paura, la follia, come la scimmia antropomorfa che interpreta l’urlo di Munch ad opera di Sergio Ragalzi. 
La ridefinizione del ruolo della donna è affrontato da parecchi artisti in mostra: dall’Asia arrivano i lavori di Almagul Menlibayeva, la donna ci è mostrata in diverse situazioni, la donna oggetto del desiderio, la donna madre e la donna in bilico tra l’attacco e la difesa. Sono tre momenti di una condizione universale che racchiudono un mondo da cui l’uomo spesso è parzialmente escluso, o il video di Rahraw Omarzad che ha per protagonista una donna avvolta nel proprio burqa che rifiuta le forbici che le vengono offerte per evadere e si chiude in un mondo personale, dove il ricamo esprime l’unica possibilità nel creare un microcosmo di rassegnata accettazione. Alla stessa donna fa riferimento Shirin Neshat, mentre altri artisti dal Medio Oriente quali Yefman Rona ci parlano di un muro che non si riesce ad abbattere, di fronte al quale ci si sente piccoli e impotenti, come se una Pippi Calzelunghe decidesse, sola, di prendersi carico di una tale responsabilità.

Senso di responsabilità, è questo lo spartiacque che divide il bene dal male. Quando si prende coscienza nella propria responsabilità ci si sfila la maschera, non si è più come gli uomini incappucciati di Andres Serrano che possono compiere azioni efferate protetti dall’irriconoscibilità. Ci si assume la responsabilità della propria e dell’altrui vita, ecco quello che stanno testimoniando gli artisti in mostra: c’è ancora una speranza per questo vecchio e sofferente mondo e risiede nella coscienza di ogni uomo e ogni donna appartenente a ciascun continente.
Gli artisti

AFRICA Almighty God                
Mway Cheff                       
Gonçalo Mabunda          
Lemming Munyoro             
Jack Akpan Sunday        
Peter M. Wanjau                

EUROPA
Angelo Candiano                 
Giuseppe Desiato          
Diamante Faraldo                
Daniele Galliano                  
Roberto Kusterle                   
Bruno Lucca                         
Francesco Nonino                                                           
Masbedo                             
Ana Opalic                          
Dino Pedriali                        
Federico Piccari         
Sergio Ragalzi                     
Sarenco                             
Jelena Vasiljev                    

MEDIO ORIENTE
Yael Bartana                                        
Rona Yefman with Tanja Schlander        
Neshat Shirin                                        
Azari Shoja                                            

ASIA
Said Atabekov                           
Budi Kustarto                               
Almagul Menlibayeva                
Erbossyn Meldibekov                 
Gulnur Mukazhanova              
Omarzad Rahraw                      
Sanjeev Maharjan                    
Oksana Shatalowa                  
Adeela Suleman                        
Georgy Bukharov Tryakin           

RUSSIA
AES + F                                       
Oleg Kulik                                 

USA 
Ryan Mendoza                          
Andres Serrano